Beirut
Gabriele Basilico è stato uno dei più grandi protagonisti della fotografia internazionale che esordisce alla fine degli anni sessanta con fotografie di indagine sociale.
All’interno della sua vasta opera di riflessione sulle trasformazioni dei territori urbanizzati nel passaggio dall’era industriale a quella postindustriale, il tema della città come complesso e raffinato prodotto dell’economia e della storia occupa un posto centrale.
Guidato da una passione sincera e da una viva ammirazione per le architetture e tutti i manufatti che nel tempo hanno dato forma alle città, egli ha scelto il rigore dello stile documentario per raccontarne il costante processo di stratificazione e ibridazione che le modella, in un lavoro di indagine del rapporto tra l’uomo e lo spazio costruito durato quasi quarant’anni. Con metodi diversi ma sempre fedeli allo stile descrittivo, ha creato una ininterrotta narrazione dei luoghi, indagando le singole città e al tempo stesso ponendole in relazione tra loro, restituendo la straordinaria articolazione degli scenari urbani nei quali vive l’uomo contemporaneo.
E' lui a parlare qui per un'intervista rilasciata a Luisa Castellini per il portale www.espoarte.net
"Mi piace immaginare che i luoghi abbiano un’anima e possano parlare. Bisogna però mettersi nella condizione di poter ascoltare. Il silenzio, il vuoto, l’assenza di accadimenti aiutano a porsi in relazione con lo spazio, senza negarne vita e umanità. Credo che la mia ricerca sia un tentativo di incasellare e creare un fil rouge che colleghi tutti gli spazi. Una sorta di archivio di dove sono io nella mente. Quando visito un luogo questo mi racconta storie nuove, ma la scelta, l’inquadratura, in sintesi il lessico cui io ricorro per avere un rapporto con questi luoghi è lo stesso, è quello che coagula la sicurezza del mio modo di essere e di vedere. È l’idea, se vogliamo un po’ romantica, che una fotografia scattata in un luogo conservi la memoria dei precedenti."
"Prima di partire mi documento, ma ogni progetto ha tempi e modalità differenti. Quando ho lavorato in Francia (1984) avevo un contratto operativo di sei mesi: un tempo quasi ottocentesco, che ha significato moltissimi sopralluoghi e verifiche, mentre a Beirut (1991) sono stato un mese, ma operavo su una zona compatta, quella centrale quasi totalmente distrutta dalla guerra. In città come Istanbul (2005-2010) o Shanghai (2010) ci si muove su spazi sterminati e non si ha mai consapevolezza della propria posizione. Ho sempre avuto la necessità di poter misurare la città, al pari di un sarto con il proprio cliente: per questo i luoghi vasti comportano scelte diverse, dalle ricerche storico-urbanistiche al ricorso, quando possibile, ai ricordi."
San Francisco
"Prima di questo lavoro non avevo compreso che il paesaggio è un modo di guardare, di comprendere il lontano e il vicino. Nei miei taccuini annotavo la parola contemplazione: con la fotografia ho imparato a guardare con più attenzione, a rapportarmi al mondo in un certo modo avendo in cambio un pezzo di carta dell’avvenimento. L’inquadratura è un luogo privato di meditazione, un’esperienza assolutamente personale. Il mio approccio non cambia rispetto all’antico, l’ho ormai metabolizzato, ma c’è una diversa eccitazione, il vivere quasi mitico un’avventura archeologica, anche se fuori del tempo. Si tratta in tutti i casi di restituire lo spirito dei luoghi e dei tempi."
Nato a Milano nel ’44 inizia a fotografare dopo la laurea in Architettura rintracciando nelle aree urbane l’orizzonte della sua ricerca, volta alla riflessione sulle trasformazioni dei luoghi. Dopo un intenso lavoro su Milano (Ritratti di fabbriche, 1983) nel 1984 partecipa, unico italiano, alla Mission Photographique de la D.A.T.A.R. Per Porti di mare riceverà nel ’90 il Prix Mois de la Photo. Nel ’91 realizza il fondamentale lavoro su Beirut e nel ’96 (Sezioni del paesaggio italiano) la VI Biennale di Architettura di Venezia gli conferisce il Premio Osella d’Oro. Nel ’99 il volume Cityscapes diventa una mostra itinerante (Stedelijk Museum Amsterdam, CPF, Porto, MART Rovereto, MAMBA Buenos Aires). L’anno dopo riceve il Premio I.N.U. e un invito dalla DAAD che sfocia in Berlino nel 2001, quando riceve anche il premio Photo España. Nel 2003 partecipa alla V Biennale di Architettura e Design di São Paulo con un progetto sul Portogallo poi presentato anche alla Triennale di Milano (2004). Nel 2007 su incarico del San Francisco Museum of Modern Art esplora la Silicon Valley, partecipa alla 52. Biennale d’Arte di Venezia e riceve il Premio Internazionale dalla Fondazione Astroc, per poi dedicarsi alle torri staliniane di Mosca Verticale (2007). Il suo pensiero e le sue pubblicazioni sono ordinati in Architetture, città, visioni (Mondadori, 2007). Tra le personali recenti: Spazio Oberdan (Milano, 2009), Fondazione Merz (Torino, 2009), SFMOMA (San Francisco, 2008), Fondazione Astroc (Madrid, 2008), Maison Européenne de la Photographie (Parigi, 2006), Nouveau Musée National (Monaco, 2006).
Bari
Oggi è sede di Eataly.
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