Perchè i «bipolari» sono più creativi
Anche Vincent Van Gogh, Virginia Woolf e Ernest Hemingway ne soffrivano
Un leggero tocco di maniacalità è un ingrediente magico per lo sviluppo
della creatività. Diversi studi hanno dimostrato che tra chi svolge professioni
creative esiste una percentuale di persone affette da disturbo
maniaco-depressivo (talora chiamato anche bipolare) nettamente superiore a
quella esistente nella popolazione generale. Un ruolo centrale è giocato
soprattutto dagli stati maniacali, caratterizzati da sintomi quali stato
d’animo euforico, aumento dell’autostima, pensieri che si succedono rapidamente,
scarso bisogno di sonno.
I DATI - Dati statunitensi indicano che tra coloro che svolgono professioni
creative la percentuale di maniaco-depressivi è di oltre l’otto per cento,
mentre nella popolazione generale è solo dell’un per cento. D’altra parte, è
stato scoperto che circa l’otto per cento delle persone affette da disturbi
bipolari può essere considerato creativo. Il legame dunque esiste, anche se,
come ricordano Greg Murray e Sheri Johnson in un recente articolo di revisione
sull’argomento, pubblicato su Clinical Psychological Review, deve ancora essere
dimostrato in maniera definitiva, perché finora è emerso più che altro da studi
di casi singoli piuttosto che da ampi studi epidemiologici, che sarebbero molto
più solidi da un punto di vista scientifico. Inoltre, il legame sembra non
essere lineare: chi soffre delle forme maniacali più gravi è meno capace di
generare creatività rispetto a chi soffre di forme più leggere. Un’esperta in
materia è Kay Redfield Jamison: «sono decenni, o veramente secoli che
l’umore elevato è stato messo in relazione in qualche modo e sotto certe
circostanze, alla creatività. Così è in realtà anche per altri aspetti, come il
temperamento, il sottostante dono dell’immaginazione, la capacità di riflettere
e di imparare dalle avversità. Poi la depressione può facilitare la
riflessione, almeno fino a un certo punto». VAN GOGH, WOOLF ED HEMINGWAY
-Molto nota soprattutto negli Stati Uniti, anche per aver lei stessa
sofferto di disturbi bipolari, la professoressa Jamison è autrice del libro Touched
by the fire (trad it. Toccato dal fuoco, TEA 2009), nel quale utilizza le
conoscenze di genetica, neuroscienze e farmacologia, per svelare i rapporti tra
genio creativo e follia, un compito che la porta a rivisitare le vite di geni
maledetti, come Virginia Woolf, Vincent Van Gogh ed Ernest Hemingway.
APERTURA ED ESTROVERSIONE - Secondo Murray e Johnson, un elemento centrale sarebbe la condizione
mentale di apertura verso le nuove esperienze e le nuove idee, perché è proprio
a partire da esse che la creatività può edificare le sue costruzioni. Poi
bisogna tenere conto del livello di originalità dei pensieri che si riescono a
produrre, un tratto che può sfociare anche in quei tratti di antisocialità che
non infrequentemente si trovano nelle personalità molto creative. Infine c’è
l’estroversione, quella particolare forma di apertura verso gli altri che
caratterizza soprattutto gli artisti che effettuano performance, come
musicisti, cantanti e attori, mentre risulta meno presente tra coloro che
lavorano essenzialmente nel proprio studio, senza avere contatti diretto con il
pubblico, come scrittori, pittori e compositori. Da un punto di vista
neurobiologico, invece, sembra che la creatività possa essere sostenuta al
neuromediatoredopamina, una sostanza che nella cosiddetta area mesolimbica (nella
parte più centrale del cervello, dove ha sede il cosiddetto “circuito della
gratificazione”) è responsabile della genesi di stati d’animo positivi, ma
anche di fenomeni connessi alla maniacalità. E quando si cominciano a
generare associazioni mentali che scorrono veloci ed è attiva la capacità di
generare immagini mentali, allora vuol dire l’attività creativa è certamente al
lavoro.
(tratto dal Corriere della Sera)
Commenti
Posta un commento