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Si potrebbe chiamare sindrome di Galois qualsiasi condizione individuale o collettiva in cui i creativi compensano uno stato di crisi con un'esplosione eccezionale di creatività. Si potrebbe indicare così anche ogni stato di febbrile operosità creativa che si determina quando si è consapevoli di poter iniziare una nuova era, una svolta epocale, una grande trasformazione individuale e sociale. Infine, ci si potrebbe riferire alla sindrome di Galois in ogni circostanza dove abbiamo l'impressione che una grande fortuna sia a portata di mano e che uno sforzo sovrumano occorra per conseguirla. Nonostante la crisi, o proprio grazie a essa, questa è la situazione da affrontare.
E' nei momenti di crisi che si vede la qualità di un individuo e di una collettività. L'Italia fu grande nell'immediato dopoguerra quando, di fronte alla devastazione totale, si rimboccò le maniche, rimodulò i valori e le alleanze, rimise in sesto la sua economia e riuscì a piazzarsi all'ottavo posto nella graduatoria dei 194 Paesi che compongono lo scacchiere politico del pianeta.
Sotto pressione, il nostro cervello e il nostro cuore sono capaci di fare cose inaudite. Potremmo persino dire che lo stress giova a una certa creatività. Da qui la definizione di sindrome di Galois. Evaristo Galois, nato in Francia nel 1811, è stato un matematico francese, come riporta anche Wikipedia. Consapevole, già a 16 anni, della propria genialità matematica, ma deluso per varie disdette, abbandonò gli studi e a 19 anni si arruolò nella Guardia Nazionale. L'esperienza militare, essendo Galois repubblicano e rivoluzionario, fu tempestosa. Arrestato più volte, fu poi sfidato a duello da due patrioti. Trascorse tutta la notte precedente lo scontro nella frenetica stesura di geniali teoremi su cui si sono poi arrovellate intere scuole di matematici e, all'alba del 30 maggio 1832, fu colpito a morte: aveva appena 20 anni. Le sue teorie furono pubblicate 14 anni più tardi e solo oggi appaiono in tutta la loro fondamentale importanza. Nel presentimento della morte imminente, sulla sensazione di essere già alla fine della vita ma di avere ancora tante cose da dire, sulla pressione psicologica esercitata dall'incalzare degli eventi: una condizione creativo-geniale determinata da uno stato di crisi profonda.
Il senso della crisi incombente ha prodotto la pittura di Caravaggio, di Egon Schiele, di Edvard Munch, di Jackson Pollock, di Francis Bacon, di Jean-Michel Basquiat; la musica di Gustav Mahler e dei rapper: tutti creativi che recano evidentissimi i segni di una tensione e persino di una paura irriducibili. Ma si pensi anche alla rivoluzione estetica del Rinascimento fiorentino, fiorita proprio durante una terribile crisi finanziaria che mise in ginocchio le grandi banche toscane, o al neorealismo cinematografico sbocciato nella Roma sconquassata dalla guerra; o alle scoperte del gruppo di Enrico Fermi in pieno fascismo e sotto la paura dell'imminente persecuzione antiebraica.
L'effetto creativo-geniale prodotto da questa sindrome non va connesso solo al tragico incalzare dei tracolli storici. Anche la semplice, quotidiana, paura di una scadenza spesso induce il giornalista a stendere rapidamente un articolo, il manager a prendere una decisione fulminea, la troupe cinematografica a girare una scena inattesa... la cui qualità creativa spesso si giova di questa eccitante compressione.
Se la crisi attuale - economica, politica ed etica al tempo stesso - ci provoca tensione e paura, possiamo esorcizzare questi sentimenti angosciosi solo ribaltandoli in altrettante occasioni di rinascita individuale e collettiva. Come singoli, possiamo mobilitare le nostre energie per escogitare nuovi lavori e modelli di vita che la tranquillità economica, impigrendoci, ci impediva di scorgere. Come Paese, possiamo ritrovare uno slancio produttivo, estetico e morale che ci ridia orgoglio e ci restituisca la creatività che ci ha fatto grandi nel corso di 20 secoli.
(estratto da un articolo di Domenico De Masi)
Jean-Michel Basquiat 
- Stardust -
1983 

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